Il Web 2.0: definizione e strategie di comunicazione



Il Web 2.0: definizione e strategie di comunicazione

Il Web 2.0: definizione e strategie di comunicazione

Con il termine “Web 2.0” s'intende “l'insieme di tutte quelle applicazioni online che permettono uno spiccato livello di interazione tra il sito e l'utente (blog, forum, chat, sistemi quali Wikipedia, YouTube, Facebook, Myspace, Twitter, Gmail, Wordpress, TripAdvisor ecc.)”


Lo sviluppo del web 2.0 è coerente con tutto il precedente sviluppo di internet e con la caratteristica di rete “aperta” che internet rappresenta.

I primi internauti, nella prima metà degli anni novanta del secolo scorso, costituivano reti di interscambio attraverso le BBS per via delle quali poter scambiare materiali, libri elettronici, riviste e informazione di ogni genere. Per far funzionare quei meccanismi di rete agli albori erano necessarie competenze specifiche di un livello abbastanza alto per cui quei canali risultavano accessibili solo ad una ristretta cerchia di “esperti” che, possedevano le competenze necessarie per effettuare le varie connessioni e conoscevano i linguaggi per trasferire e scambiare file.

Ma fin da subito fu chiaro che, al contrario degli altri media, l’uso di internet prevedeva una funzione attiva dell'utente il quale cessava di essere spettatore (come nel teatro, nella radio, nella televisione e perfino con i giornali) per diventare in qualche modo protagonista. Le strategie di comunicazione e le strategie pubblicitarie mutano quindi nel corso degli anni.

È ovvio che nessuno può mai essere “spettatore assoluto”. L'uso delle informazioni, da qualunque media provengano, richiede come minimo la decisione di voler essere informato. Per essere spettatori di un programma televisivo dovete quantomeno volerlo vedere, il che comporta l'accensione della TV e la quantità di zapping necessaria per reperire il canale che trasmette il programma desiderato. E' del tutto evidente, dunque, che un minimo di interattività è previsto anche nell'uso degli altri media. Ma, nel caso dei media tradizionali, l'interattività si limita a poche cose: accensione e spegnimento, regolazione delle caratteristiche di visione (nel caso della tv: volume, colore, contrasto etc.) e zapping.

Viceversa, il livello di interazione necessario per far funzionare la rete è assai più elevato e va dai percorsi metatestuali (ipertesti) all'uso delle strutture multimediali. Tuttavia, è solo con l'avvento del web 2.0 che gli utenti possono intervenire sul piano del contenuto e modificare, aggiornare, eliminare percorsi metatestuali e strutture multimediali. Ognuno può postare un proprio video su YouTube, nelle strategie di comunicazione e pubblicitarie, a condizione che attivi un account gratuito.

Tutto questo è ottimo, ma i problemi più o meno “filosofici” sollevati dal web 2.0 sono giganteschi e vanno dai rischi di cui le vulgate più comuni (pedofilia, bullismo, diffamazione etc.) a quelli più sottili legati al controllo del flusso di informazioni e ad una sorta di “analfabetismo” o “analfabetismo di ritorno” (fenomeno comune anche ad altre tecnologie).

Cominciamo dai primi.

I post indiscriminati degli utenti, ormai liberi di fruire della rete come creatori e produttori e non solo visitatori e spettatori, ha sollevato alcune questioni legali che hanno indotto i legislatori a porre limiti legali e giuridici all’uso della rete. Ad esempio, non tutte le immagini possono essere postate. Devono essere escluse le immagini dei minori, a meno che non si sia legali tutori o si possieda una liberatoria dei tutori che consentono la pubblicazione. Fra gli account facebook, ad esempio (ed è facile da controllare), ve ne sono molti di minorenni che inseriscono nel profilo la propria foto. A rigor di legge, la legittimità di questi profili è almeno dubbia: chi ci assicura, infatti, che i loro genitori ne siano consapevoli e, dunque, consenzienti? (Certo, qui si fa riferimento a un meccanismo di controllo e di educazione dei genitori rispetto ai figli che la giurisprudenza dà per scontato ma che scontato non è affatto dato il gap tecnologico che la differenza generazionale comporta.) La cosa migliore non è impedire l’utilizzo della rete ma educare ad un uso corretto. Solo che, in questo caso, gli educatori dovrebbero possedere almeno quel minimo di conoscenze necessarie affinché l’educazione sia efficace - e nessuno garantisce che i genitori, per il solo fatto di essere genitori, possiedano queste conoscenze. Questa funzione educativa dovrebbe essere demandata ad altre istanze.

L’esempio delle foto sui profili facebook di minorenni è solo un esempio, ma la stessa problematica - in forma anche più grave, se vogliamo - si presenta in altre infinite circostanze: i post sui blog o le conversazioni in chat (dalle quali sono scaturiti, ad esempio, gli episodi di bullismo on line etc.).

Non è solo perché si ha la possibilità di postare su un blog che si diventa giornalisti. Per poter usare e fruire delle enormi potenzialità del web 2.0 bisogna saperlo fare; bisogna sapere quello che si può o non si può postare, domandarsi se i nostri post possono o meno offendere la sensibilità di qualcuno, se la colonna sonora che abbiamo scelto per il nostro video su youtube sia o meno coperta di copyright. Sono cose che BISOGNA sapere. Nonostante il web 2.0, senza sapere niente non si può fare niente. le strategie di comunicazione devono essere quindi ben pensate.

Infine c’è l’altro aspetto, quello dell’alfabetizzazione. Per l’uso del web 2.0 dal punto di vista dell’utenza non è necessario possedere competenze specifiche sui linguaggi di programmazione o sulle strutture di connettività etc. come accadeva ai tempi delle BBS. Tuttavia bisogna sapere almeno che, ad esempio, immagini di grandi dimensioni non possono essere accettate sui server e quindi, quando si tenta di postarle, si ottiene degli insuccessi. Bisogna sapere che digitazione di certi caratteri speciali, che hanno significato sul piano della programmazione della struttura web, non possono essere inseriti. E via di questo passo.

L’idea che queste siano conoscenze comuni ed alla portata di tutti è sbagliata. Una semplice competenza elementare di matematica è sufficiente per sapere che 10MB sono più di 8MB. Ma in generale, 10MB sono tanti o pochi? La posso postare una foto da 10MB in alta qualità? E, nel caso, come la riduco? E’ possibile farlo?

Certo, non occorre una competenza ingegneristica per rispondere a queste poche domande, e tuttavia una competenza minima occorre. Si pensa di poter postare un’immagine da 10MB solo perché, in generale e di principio, il web 2.0 consente all’utente di poter inserire immagini in proprio. Purtroppo non è così.

Per far funzionare e per fruire delle potenzialità del web 2.0 non occorrono grandi competenze, ma un minimo di competenze si.

Senza contare il fatto che chi mette on line una struttura web 2.0, e quindi ha sviluppato una programmazione in questo senso, ha di certo previsto un uso proprio e legittimo della propria struttura. L’uso considerato legittimo va conosciuto dall’utente che interagisce, altrimenti quest’ultimo andrà incontro a rischi strutturali (può danneggiare il sito) o giuridici (può compiere atti illeciti).

Last but not least l’analfabetismo di ritorno. Se chiudessero tutte le panetterie, sapreste procuravi il pane?

L’analfabetismo di ritorno è quel fenomeno per il quale soggetti, anche altamente scolarizzati, compiono tuttavia errori grammaticali e sintattici nella scrittura. Questo fenomeno è diffuso un po’ in tutti i media. Assistiamo, ad esempio, al ritorno del dialetto sulle tv nazionali. Intendiamoci, non c’è assolutamente nulla di male, ma ricordiamo che la televisione pubblica ha avuto il merito storico (ormai unanimemente riconosciuto) di aver diffuso nel paese la parlata in lingua. (Lasciamo perdere se sia stato un bene o un male.)

Per la rete, l’analfabetismo di ritorno si configura in questo modo: siccome le strutture del web 2.0 sono pre-programmate (cioè, sono costruiti da altri che le hanno programmate) non è necessario all’utente conoscere nulla sulla programmazione. Questo principio è legittimo ma non se l’utente s’improvvisa a sua volta programmatore. Ma c’è di peggio. Anche se l’utente conosce qualche linguaggio di programmazione o di marcatura, le strutture web 2.0 rendono apparentemente superflua questa conoscenza col risultato finale che l’utente dimenticherà anche quel poco che sapeva prima a causa dello scarso uso. La creazione di siti web con l’ausilio di strutture preprogrammate come, ad esempio, i CMS estremizza quest’effetto di analfabetismo di ritorno.

Come in tutte le cose, anche nel web 2.0 - che è cosa ottima e meravigliosa che deve essere ulteriormente sviluppata e migliorata - occorre una certa dose di conoscenze. Nulla si genera dal nulla e chi non sa nulla non può nemmeno fare finta di usare il web 2.0.

 

Per ulteriori informazioni potete contattare la nostra Agenzia di Comunicazione a Poggibonsi, tra Siena e Firenze!