Giornata mondiale della pasta: come la pastasciutta è diventata il simbolo dell’Italia
Indice
La pastasciutta: il piatto che racconta l’Italia ogni giorno
Le origini della pasta: come un piatto povero è diventato un linguaggio universale
La pasta in TV: quando la pubblicità inventò il “saper vivere italiano”
Quando la pasta divenne ambasciatrice: il Made in Italy nel mondo
La pasta sui social: come i brand e le persone raccontano l’Italia oggi
La pasta come specchio dell’Italia: il family brand che unisce il Paese
La pastasciutta: il piatto che racconta l’Italia ogni giorno
Il 25 ottobre è la Giornata Mondiale della Pastasciutta.
In Italia, però, la celebriamo senza calendario: nell’acqua che bolle, nel vapore che appanna gli occhiali, nel suono secco della pasta che cade in pentola.
È un gesto quotidiano che, da secoli, unisce famiglie, regioni e generazioni.
Da gesto domestico è diventata narrazione culturale, da alimento povero un simbolo di riconoscimento collettivo, che dice “Italia” anche senza parole.
Nei decenni, la pasta ha raccontato il Paese meglio di qualunque campagna turistica: nei film, negli spot, nei piatti condivisi. È la sintesi perfetta dell’Italia che sa essere semplice e sofisticata, familiare e globale, autentica e costruita al tempo stesso.
La pubblicità l’ha resa immagine, le famiglie l’hanno trasformata in rito, i social in icona pop.
E così, mentre il mondo la celebra, noi continuiamo a chiederci: è l’Italia che ha fatto della pasta il suo biglietto da visita, o è la pasta che, nel tempo, è diventata il volto più autentico dell’Italia nel mondo?
Le origini della pasta: come un piatto povero è diventato un linguaggio universale
Prima di essere racconto, la pasta era gesto.
Un modo semplice per sfamare molti con poco, per unire ingredienti poveri in un equilibrio perfetto. Acqua, farina, sale, e spesso nemmeno il condimento: un’abitudine nata dal bisogno e diventata conforto.
La pasta è nata come linguaggio della sopravvivenza, ma si è presto trasformata in linguaggio dell’appartenenza.
In ogni casa, da Nord a Sud, c’era una ricetta diversa e una stessa promessa: quella di stare insieme.
Nel cinema, nelle foto d’epoca, nei ricordi di chi è partito, la pasta è presenza costante.
Totò che ne difende la dignità, Sordi che la divora con orgoglio, le nonne che la tirano a mano come atto d’amore.
È il simbolo più sincero di un’Italia reale, che si arrangia e sorride, che trova bellezza anche nella semplicità di un piatto di pasta in bianco con un filo d’olio.
È da questa umiltà che la pasta ha imparato a parlare la lingua di tutti.
La pasta in TV: quando la pubblicità inventò il “saper vivere italiano”
Negli anni del boom economico la pasta smise di essere solo un gesto e cominciò a raccontarsi.
La televisione entrava nelle case degli italiani e il “saper vivere italiano” prendeva forma sullo schermo: accogliente e romantico.
Fu allora che la pasta cambiò volto. Non era più soltanto un piatto, ma una storia da raccontare.
Le marche capirono che non bastava più mostrare un prodotto: bisognava evocare un’emozione.
Nelle mani di registi e copywriter, il gesto quotidiano di sedersi a tavola si trasformò in un racconto universale: semplice ma raffinato, dolce ma reale.
E Barilla, più di ogni altro, riuscì a trasformare quei gesti in un’emozione collettiva.
Un bambino che corre sotto la pioggia, una madre che sorride, una tavola che accoglie.
Quei trenta secondi di spot erano una dichiarazione nazionale, un racconto che superava la marca e toccava la cultura.
Perché in quella casa c’eravamo tutti.
La pubblicità non vendeva pasta, ma l’idea di un’Italia che si riconosceva in essa.
È così che la pasta, da alimento, divenne linguaggio visivo. Da gesto, diventò racconto. E da racconto, mito.
Quando la pasta divenne ambasciatrice: il Made in Italy nel mondo
Dopo aver conquistato le case italiane, la pasta cominciò a parlare al mondo.
Negli anni Ottanta e Novanta, mentre l’Italia diventava sinonimo di stile e creatività, la pasta ne divenne il simbolo più sincero.
Ogni brand ne raccontava una sfumatura.
Barilla incarnava la casa e l’emozione: non vendeva un prodotto, ma il conforto del ritorno.
Con gli spot firmati da Salvatores e Tornatore, la pasta diventò una metafora di famiglia, di calore, di nostalgia. “Dove c’è Barilla, c’è casa” non era solo uno slogan, ma un messaggio identitario: la casa come luogo del cuore, la tavola come patria condivisa.
De Cecco, invece, scelse la via della qualità e dell’orgoglio artigiano.Le campagne con Sophia Loren negli anni ’80 trasformarono la pasta in un simbolo di sensualità autentica, di italianità elegante ma accessibile: un racconto di bellezza quotidiana.
Rummo fece della lentezza una dichiarazione di valore.
In un mondo che correva, la sua “lenta lavorazione” diventò manifesto di un’Italia che ancora crede nel tempo, nel rispetto, nella cura.
Voiello, infine, reinterpretò l’italianità in chiave estetica: una pasta raffinata, quasi fashion, ma radicata nella tradizione napoletana.
I suoi visual sensuali e la narrazione elegante raccontano una nuova dimensione del piacere: più contemporanea, più consapevole.
Ognuno di questi marchi ha contribuito a costruire una narrazione condivisa, fatto di gesti, colori e suoni che parlavano di un Paese intero.
E quando la pasta uscì dai confini nazionali, non portò con sé solo un sapore, ma un intero modo di pensare. Divenne il simbolo di uno stile di vita desiderabile: riconosciuta e amata ovunque, perché raccontava un sogno accessibile; quello di un Paese che sa godersi la vita, sedersi a tavola, trovare armonia anche nei gesti semplici.
Così la pasta diventò ambasciatrice silenziosa del Made in Italy: più diretta del linguaggio, più efficace della diplomazia.
La pasta sui social: come i brand e le persone raccontano l’Italia oggi
Con l’arrivo dei social, anche la pasta ha dovuto imparare un linguaggio nuovo.
La comunicazione patinata della televisione ha lasciato spazio a un tono più diretto, più umano, più ironico.
I grandi brand hanno capito che non bastava più emozionare: bisognava partecipare.
Barilla ha unito tradizione e innovazione con le Spotify Timers, trasformando il tempo di cottura in un’esperienza musicale.
Rummo ha portato la sua filosofia della “lenta lavorazione” sui social, con parole lente, immagini calme e copy che sembrano respiri.
Voiello ha scelto la via dell’eleganza e della seduzione, con un’estetica raffinata che parla di piacere e autenticità.
De Cecco ha mantenuto un tono più istituzionale, custodendo la tradizione come un marchio di garanzia.
Anche il tono è cambiato: meno distanza, più spontaneità.
L’ironia è diventata la nuova forma di italianità, una leggerezza che non banalizza ma avvicina.
È la versione 2.0 del “saper vivere italiano”: saper sorridere anche davanti a un piatto di spaghetti sbagliato.
Ma oggi, la pasta non è più raccontata solo dai brand.
È tornata nelle mani delle persone: da gesto a immagine, da immagine a simbolo, e ora, sui social, è vissuta di nuovo come un gesto, ma condiviso.
È il rito di sempre, ma davanti a un nuovo focolare: quello digitale.
Così la quotidianità è diventata racconto e l’abitudine è diventata emozione condivisa.
Che sia un piatto di spaghetti su Instagram, un reel su TikTok o un video di cucina su YouTube, la verità è che ora siamo noi utenti a fare pubblicità alla pasta senza neppure volerlo.
La pasta è infatti uno dei cibi più raccontati e condivisi al mondo: milioni di hashtag, tra cui #pasta, #pastalovers, #carbonara, #homemadepasta, #pastalife, costruiscono ogni giorno una storia che non ha bisogno di slogan.
È come se ogni piatto pubblicato fosse una cartolina digitale dal nostro Paese: un modo per dire, senza parole, “siamo fatti così: semplici, genuini, un po’ poetici".
Se un tempo erano i brand a creare l’immaginario dell’Italia attraverso la pasta, oggi sono le persone a tenerlo vivo, ogni volta che cucinano, fotografano o semplicemente si siedono a tavola.
E anche a distanza di anni dal suo ingresso nelle case italiane, si può dire che la pubblicità ne ha creato il mito, ma, come allora, sono le persone a mantenerlo reale.
La pasta come specchio dell’Italia: il family brand che unisce il Paese
Oggi la pasta non è un piatto.
Non è una ricetta, né un prodotto.
È un immaginario condiviso, un linguaggio che unisce storie e generazioni diverse.
È il family brand dell’Italia per eccellenza: tutti la riconoscono, ma nessun marchio la possiede davvero.
È un simbolo collettivo, costruito da milioni di gesti quotidiani e da decenni di comunicazione che ha unito più che diviso.
Dalla tavola delle nonne agli spot in TV, fino ai reel di oggi, la pasta ha attraversato la storia della comunicazione italiana senza mai perdere autenticità.
E forse la sua forza sta proprio in questo: nel nascere dove nascono le famiglie, a tavola.
Ogni spot, ogni piatto, ogni foto condivisa contribuisce a raccontare lo stesso Paese: quello che si riconosce nella semplicità, nella bellezza dei gesti quotidiani, nel calore del “mangiare insieme”.
È questa natura aperta, domestica e universale ad aver trasformato la pasta nel linguaggio con cui l’Italia si racconta al mondo.
In fondo, non sappiamo più chi promuove chi.
Forse è l’Italia che, attraverso la pasta, ha imparato a raccontarsi.
O forse è la pasta che, ogni giorno, continua a raccontare l’Italia meglio di chiunque altro.
E oggi, ovunque voi siate, mangiatevi un piatto di pasta, con un filo d’olio, con il ragù o con quello che vi piace di più.
Perché, nel bene o nel male, questa storia è parte di ciò che siamo.
AleMar Web
Perché, in fondo, comunicare bene è proprio questo: trovare il modo giusto per raccontare un’identità, come l’Italia ha fatto da sempre con la sua pastasciutta.
In AleMar Web crediamo che ogni brand abbia la sua “ricetta” di autenticità, e il nostro lavoro è proprio quello di servirla nel modo più vero possibile.
Se anche il tuo brand ha una storia da raccontare, fallo con le parole giuste. Noi siamo qui per aiutarti a trovarle.